Filippo Turati

(Canzo, 26 novembre 1857 – Parigi, 29 marzo 1932)

Politico, giornalista e politologo italiano

Tra i primi e più importanti leader del socialismo italiano e tra i fondatori, a Genova nel 1892, dell’allora Partito dei Lavoratori Italiani (che diventerà, nel 1893 a Reggio Emilia, Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, avendo ancora questo nome al convegno di Imola nel 1894 e, nel 1895 con il congresso di Parma, Partito Socialista Italiano). Filippo Turati si definiva marxista, ma interpretava la dottrina di Marx in maniera non dogmatica: l’emancipazione del proletariato costituisce l’obiettivo, ma si deve mirare a ottenerla attraverso le riforme. Tutto ciò che può portare a un miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori è buono, anche se calato dall’alto; il socialismo è la stella polare della società, ma sino al suo avvento è bene cooperare con il capitalismo. Vi sono situazioni in cui la cooperazione non va rifiutata dai socialisti, le riforme possono essere più positive della contrapposizione di classe; vi sono tanti socialismi, che possono e devono adeguarsi ai vari stati e alle varie epoche. Quello di Turati era un socialismo che rifiutava ogni suggestione del tutto e subito. Turati era, comunque, un socialista a tutti gli effetti, perché aveva come obiettivo il trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione in mano pubblica, ma in maniera graduale. Il proletariato non si può emancipare di colpo, non si può credere nell'”illuminazione” rivoluzionaria: non rivoluzione, ma evoluzione graduale. Il tempo del socialismo è un lungo tempo storico fatto di mediazione e di ragionevolezza: il proletariato raggiungerà la maturità attraverso le riforme; il riformismo è lo strumento per arrivare alla consapevolezza e deve abituare il proletariato alla sua futura evoluzione. Compiti del riformismo sono quelli di educare le coscienze, di creare reale solidarietà tra le classi subalterne. Per Turati, se il proletariato è ancora immaturo, la rivoluzione sarebbe dannosa: il massimalismo significa contestazione, non migliora la condizione del proletariato, non è detto che porti a dei risultati evocare una selvaggia lotta di classe; anzi, tale lotta di classe porterebbe alla distruzione dell’economia, costringendo il proletariato a una miseria ancora più cruda. In un suo brano del 1900 egli spiega la sua concezione di “rivoluzione”: «ogni scuola che si apre, ogni mente che si snebbia, ogni spina dorsale che si drizza, ogni abuso incancrenito che si stradica, ogni elevamento del tenore di vita dei miseri, ogni legge protettiva del lavoro, se tutto ciò è coordinato ad un fine ben chiaro e cosciente di trasformazione sociale, è un atomo di rivoluzione che si aggiunge alla massa. Verrà il giorno che i fiocchi di neve formeranno valanga. Aumentare queste forze latenti, lavorarvi ogni giorno, è fare opera quotidiana di rivoluzione, assai più che sbraitare pei tetti la immancabile rivoluzione che non si decide a scoppiare». Turati era un pensatore pacifista: la guerra non può risolvere alcun problema. Era avversario del fascismo, ma anche fortemente critico nei confronti della rivoluzione sovietica, che riteneva un fenomeno geograficamente limitato e non esportabile e che non faceva uso di intelligenza, libertà, e civiltà. Per Turati il fascismo non era solo mancanza di libertà, ma una minaccia per l’ordine mondiale: egli individuava elementi comuni tra fascismo e bolscevismo perché entrambi ripudiavano i valori del parlamentarismo. In quest’ottica, vale la pena di fare un pezzo di strada assieme al liberalismo per difendere la libertà.