Il nostro compito – di Antonello Longo

Il perdurante disagio politico, che mi accomuna a molti, non viene, nel mio caso, da una crisi d’identità bensì dall’esatto contrario. Sono sempre stato socialdemocratico, fedele agli insegnamenti di Giuseppe Saragat, cioè di un teorico marxista illuminato, che seppe iniettare nel corpo del socialismo il siero della libertà ed il cromosoma della “umanità totale”.

Forse a causa di questa mia formazione ho sempre avuto un rapporto problematico col pensiero cosiddetto “lib-lab” in cui vedo, spesso, un tentativo velleitario di conciliare gli opposti ed, a volte, un semplice pretesto per diluire il “lab” nel “lib”.

Un giorno Jean-Baptiste Colbert, il ministro di Luigi XIV, riunì i principali uomini d’affari del regno per chiedere loro: “cosa può fare lo Stato a vostro favore?”. Ne ebbe la celebre risposta: “laissez faire, laissez passer” destinata a diventare lo slogan di tutte le scuole economiche del Settecento.

Nasceva il “liberismo” e nasceva perché gli uomini d’affari, gli appaltatori, i mercanti, per niente rassicurati dal sentire che “l’état c’est moi”, diffidavano, non del “le Roi Soleil” ma del concetto stesso di Stato, che consideravano portatore degli interessi di una classe, quella aristocratico/clericale, ad essi antagonista. L’economia non si colloca “nello” Stato ma appartiene all’inviolabile regno delle necessità di natura e il gius-naturalismo mette il diritto privato a regolare i rapporti interni alla borghesia, come “diritto naturale” che lo Stato non può, non deve toccare, perché gli scambi commerciali sono creati dal “popolo”, secondo la “natura dell’uomo”.

Così, da quel crepuscolo del Seicento, il “liberalismo” sviluppa la concezione della libertà dell’uomo non come libertà “nello” Stato ma come libertà “dallo” Stato. Insomma liberismo e liberalismo come strumenti ideologici al servizio degli interessi della classe borghese che, nei nascenti Stati assoluti, puntava a consolidare ed estendere il proprio potere, fino a quando non riuscì a sostituirsi nel ruolo alle antiche classi dirigenti, acquisendo la direzione dello Stato e facendolo diventare, cessata ogni ragione di antagonismo, lo strumento per realizzare gli interessi della classe borghese.

Certo, nel tempo, l’ideologia liberale, non meno di quella socialista, ha rinnovato i propri contenuti e modificato l’atteggiamento verso lo Stato, fino ai Bertrand Russell, ai Benedetto Croce del nostro tempo, il liberalismo dei quali non coincide con il liberismo economico. Ma si dovrà aspettare John Maynard Keynes per leggere, finalmente, “The end of laissez faire”.

Il liberalismo moderno non esclude momenti e forme di partecipazione e di intervento dello Stato nell’economia ma conserva la sua preoccupazione di fondo: “liberisti sono coloro i quali, ragionando, cercano di precisare le ragioni ed i casi ed i limiti dell’intervento dello Stato e degli altri numerosi e variabilissimi enti pubblici nelle cose economiche.” (Luigi Einaudi, “Lo scrittoio del presidente 1948 – 1955” Einaudi, Torino, 1956, pag. 9).

D’altro canto i partiti socialisti europei sono oggi liberi da scorie stataliste. Si è creato, dunque, un margine largo di dialogo e, come sempre quando si dialoga, uno spazio d’intesa con il pensiero liberale e di coesistenza con le economie liberiste. Ma stiamo attenti, la preoccupazione propria del socialismo resta sempre dalla parte opposta: limitare il predominio politico del mondo capitalistico (così almeno dovrebbe essere).

Il percorso lib-lab ha arricchito la cultura di governo della sinistra europea ma, secondo me, la grande crisi economica e sanitaria di questi anni ed il drammatico ritorno della guerra in Europa rendono necessario aprire, adesso, una nuova stagione in cui la socialdemocrazia recuperi la sua missione originaria, quella di configurare una determinazione socialista della democrazia.

Certo, il senso pratico di queste parole è tutto da discutere, da riempire di contenuti, da collegare ai problemi pratici, ai bisogni veri della società con ricette meno inique di quelle della dominante cultura neo-liberista. E per veicolare un’idea, s’intende, occorre sempre trovare le giuste strategie politiche. Un lavoro più che arduo, ma appassionante.

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